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Gli trapiantano un cuore malato: muore al San Camillo

Cardiologia Redazione DottNet | 27/09/2017 21:24

Verifiche dal ministero. L'organo gli è stato espiantato al San Raffaele

Doppie verifiche, da parte del Ministero e da parte della Procura, sul caso del sessantenne morto un anno fa nell'ospedale San Camillo di Roma una settimana dopo un trapianto di cuore. Il cuore era stato prelevato a Milano a un 48enne che aveva perso la vita per un danno cerebrale dopo un malore in piscina. L'organo era stato inviato a Roma d'urgenza dall'ospedale San Raffaele. Se da un lato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, definendo la vicenda "gravissima e inaccettabile", ha annunciato che saranno "attivate tutte le procedure di verifica", dall' altro la magistratura ha aperto un'inchiesta a carico di ignoti per omicidio colposo.

Inchiesta inizialmente avviata dal procuratore aggiunto della capitale Nunzia D'Elia e dal pm Claudia Alberti che, dopo gli esiti di una consulenza medico legale nella quale si sostiene che il cuore trapiantato fosse inidoneo, hanno stabilito che la presunta condotta di malpractice sarebbe stata commessa dai medici del capoluogo lombardo.

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Così la scorsa settimana sono stati trasmessi alla Procura milanese gli atti, arrivati però sul tavolo del responsabile del dipartimento ambiente, salute e lavoro Tiziana Siciliano e dal pm Antonio Cristillo solo ieri. Da quanto si è saputo il primo passo dei due pm sarà sentire gli esperti nominati dai colleghi romani per poi valutare se integrare la loro consulenza con altri accertamenti sulle condizioni del cuore trapiantato, sulla dinamica della morte del donatore e del paziente e su quali fosse il loro effettivo stato di salute.

Approfondimenti che, qualora fossero ritenuti necessari, avverrebbero anche con l'analisi dei reperti autoptici, come vetrini e liquidi. Sulla vicenda oltre al ministro Lorenzin, è intervenuto Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti, che dà una versione ben diversa da quella della consulenza medico legale chiesta dai magistrati. "Il cuore trapiantato nell'uomo deceduto dopo l'intervento - ha spiegato - dalla coronarografia era risultato normale, cioè nelle condizioni di essere trapiantato". Inoltre, ha aggiunto, il donatore aveva auto un arresto cardiaco ma successivamente aveva ripreso a battere normalmente".

I danni cerebrali avevano pero' causato la morte ma controlli effettuati avevano appurato la normale funzione cardiaca e quindi si è proceduto con l'operazione nei tempi stabiliti. Sulla stessa linea anche Francesco Musumeci, direttore dell'unità operativa di cardiochirurgia del San Camillo: "il cuore trapiantato al sessantenne", che era stato anche sottoposto a un esame ecocardiografico al San Raffaele, "era in condizioni perfette, sano e con tutti i parametri per poter essere essere impiantato". Lo stesso direttore generale dell'azienda ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Fabrizio d'Alba, ha negato che il cuore trapiantato fosse "malato" e ha ricordato che nel settembre 2016 il caso fu oggetto di audit da parte del Centro Nazionale Trapianti: "già all'epoca, verificò che tutte le procedure per la selezione dell'organo, per il suo prelievo e per il suo impianto, erano state eseguite con assoluto rigore".

Ora toccherà ai pm milanesi accertare cosa esattamente sia accaduto e se ci siano o meno responsabilità per quella morte, che risale a più di un anno fa, esattamente al 5 settembre 2016.

L'agonia del sessantenne deceduto

Otto giorni senza riprendere conoscenza, una serie di interventi per risolvere problemi sorti subito dopo il trapianto. Un'agonia che spinse il familiari dell'uomo a presentare subito una denuncia per lesioni gravi, una denuncia presentata quando il loro congiunto era ancora vivo. Loredana Vivolo, avvocato della famiglia del sessantenne deceduto dopo alcuni giorni dal trapianto di cuore effettuato all'ospedale San Camillo, racconta il calvario di quest'uomo.

"In questa vicenda ha perso la vita una persona che al momento dell'intervento stava bene. Era rientrato dalle vacanze per fare il trapianto, lui era restio ma le figlie volevano che si operasse per risolvere i suoi problemi di salute", precisa il legale. La vicenda si consuma lo scorso anno. "L'intervento risale al 29 agosto 2016 e la morte è sopraggiunta il 5 settembre: l'uomo non ha mai ripreso conoscenza", spiega l'avvocato Vivolo.

"Nei giorni intercorsi tra l'operazione e il decesso l'uomo non ha mai ripreso conoscenza ed è stato sottoposto a vari interventi", aggiunge. Proprio per questo i familiari "decisero di presentare subito una denuncia per lesioni gravi quando il loro congiunto era ancora vivo", precisa il legale. Poi viene aperto un fascicolo e la Procura svolge una perizia: la consulenza medico legale ha stabilito che il cuore trapiantato non era idoneo.

"La Procura di Roma ha svolto l'autopsia e poi disposto una consulenza sul cui contenuto mantengo il massimo riserbo ma la decisione di spedire il fascicolo a Milano, avvenuta il primo settembre scorso, fa pensare che il problema sia sorto li' dopo che l'organo è stato espiantato dal donatore", continua ancora l'avvocato. Il penalista afferma che i familiari speravano che i risultati della perizia fossero diversi. "Si auguravano che il loro familiare fosse morto per cause naturali e non per problemi di altra natura -spiega ancora l'avvocato - la settimana prossima incontrerò il pm della Procura di Milano a cui sono state affidate le indagini".

Intervista col cardiochirurgo

Sono molti i trapianti di cuore realizzati con un cuore che ha subito un arresto, circa il 15%, e se l'esame dell'organo verifica che non ci sono danni nella struttura o nella funzionalita' si opera ''in sicurezza''.

A spiegarlo e' Mauro Rinaldi, professore di Cardiochirurgia Universitaria all'Universita' Le Molinette di Torino, che nella sua carriera ha realizzato ''qualche centinaia'' di trapianti di cuore e che riferisce di averne anche lui usati, come hanno fatto all'ospedale San Camillo di Roma dove un paziente e' deceduto dopo avere ricevuto un cuore espiantato a Milano al San Raffaele, da un paziente che aveva appunto avuto un arresto.

''L'arresto cardiaco - spiega - fa parte spesso di un esordio di morte cerebrale, ma se il cuore riprende a battere e viene recuperato lo usiamo frequentemente nei trapianti''. Sono diverse le variabili che contribuiscono al recupero dell'organo, spiega l'esperto. ''Dipende dalla durata dell'arresto e dalla modalita' di recupero, ma alla fine conta il giudizio che il chirurgo che lo va a prelevare e che lo sottopone ad esami strumentali e ad una ispezione che permette di capire in che condizioni e'''. Ovviamente perche' cio' avvenga l'arresto deve essere di durata ''ragionevole, sono stati recuperati cuori che erano stati fermati oltre 30 minuti''. Altra cosa e' un infarto, precisa, che lascia dei danni che comunque sarebbero visibili agli esami.

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